Giotto, Ascensione, 1303-5, affresco, Cappella degli Scrovegni, Padova


Tra il 25 marzo 1303 e il 25 marzo 1305 fu innalzata a Padova la Cappella dedicata alla Vergine Annunziata, per volere di Enrico Scrovegni in suffragio dell’anima del padre Reginaldo, collocato da Dante all’Inferno perché usuraio. A Giotto venne affidato il compito di raffigurare una sequenza di storie tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento che culminavano nella morte e resurrezione del Figlio di Dio e nel Giudizio Universale, allo scopo di sollecitare chi entrava nella Cappella a rimeditare sul suo sacrificio per la salvezza dell’umanità. Nell'Ascensione il racconto si vivifica del blu smaltato del cielo che domina la scena assieme alla figura centrale di Gesù. Sul suo volto c’è un sorriso, le braccia sono protese verso l’alto, la nuvola che lo sostiene è sfilacciata dal vento e dal movimento. C’è dinamicità in questo ritorno al Padre, dinamicità che lo Spirito Santo alimenta, percepibile nell’alone dorato che circonda il Cristo. Al di sotto di lui gli undici apostoli vengono tutti rappresentati in ginocchio, in atteggiamento orante; qualcuno – in una posa molto realistica – si porta la mano tra gli occhi e la fronte per farsi schermo dal bagliore accecante e al tempo stesso scrutare lontano. I due angeli, al centro, indicano loro ciò che sta avvenendo e li accompagnano in quel sentimento di adorazione e gioia che leggiamo nella pagina del Vangelo di Luca. Ma attorno a Cristo stanno anche gli angeli, i beati e i santi, per cui ciò che accade coinvolge tutta la Chiesa nascente, sotto la protezione della Vergine Maria la quale infatti occupa in primo piano una posizione preminente. È il presupposto spirituale dello slancio missionario (“Allora essi partirono e predicarono dappertutto”) che l’evangelista Marco mette in risalto al termine del racconto dell’Ascensione.