Tommaso Minardi, Madonna del Rosario, 1840, olio su tela, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna


Minardi ha senz’altro in mente Raffaello quando dipinge il volto gentile di Maria e di Gesù Bambino, mettendo in scena con colori così delicati non un preciso fatto storico ma un momento senza tempo: la dolcezza dell’amore misericordioso del Padre che tramite il sì della Vergine a noi si rivela. Nelle mani di Maria il libro indica il rapporto costante con la Parola, la sua ricerca della volontà di Dio in un rapporto nutrito di dialogo fiducioso che si riflette nel gioco di sguardi con il Figlio. Gioco di sguardi e di sorrisi che contribuiscono alla serenità di un’atmosfera impreziosita da un cielo azzurro che sembra farci pregustare la bellezza del Paradiso. Verso il cielo infatti conducono i gigli nel vaso, chiara allusione alla purezza mariana, che è purezza sponsale, come l’anello ben evidente tra le sue dita indica all’occhio dello spettatore. Eppure la presenza dell’agnello dovrebbe, nella prefigurazione del sacrificio, suggerirci una sensazione di inquietudine. Ma Cristo lo abbraccia, anzi lo cinge con la corona del Rosario, in una chiara allusione alla capacità di non sottrarsi al giogo dell’amore che passa sì attraverso il dolore ma si nutre della carezza sempre presente della nostra Mamma Celeste.